DAVID HOLGREM #2
Melliodora, fattoria dell’autosufficienza
vrei vissuto per un po’ di tempo a Melliodora, la fattoria autosufficiente di David Holgrem e la sua compagna Su Dennett in Australia.
Obiettivo: capire come era stata progettata, come veniva gestita e organizzata.
Con loro viveva anche Rick, acuto manager giapponese e la mamma di David Holgrem, Venie: donna di straordinaria intelligenza e tempra.
Il primo giorno in fattoria la perlustrai in lungo e in largo. Da curiosa paesaggista, volevo capire quale fosse il progetto di base. In una spianata gialla e arida, Melliodora era una piccola oasi verde e lussureggiante.
“L’abbondanza era sovrana: ovunque mi girassi, c’era qualcosa da raccogliere e mangiare.”
Ogni elemento era posizionato seguendo un preciso schema, le diverse zone di utilizzo (dall’abitazione: zona 0, al pascolo più esterno: zona 3) si incastravano l’una nell’altra come in un puzzle. La zona margine, non solo era pienamente valorizzata da siepi, boscaglie e frangivento, ma costituiva la cerniera di passaggio da una zona ad un’altra.
Sulle curve di livello si alternavano alberi da frutto e leguminose, un intreccio di foglie e ramaglie ai piedi degli alberi ne costituiva la pacciamatura di protezione. Swales, canali di captazione e scorrimento dell’acqua, si intrecciavano lungo la proprietà, creando un complesso reticolo che convogliava l’acqua in un bacino posto ai piedi dell’azienda. Un sistema di pompaggio azionato da un mulino posto a monte della casa permetteva, in emergenza, di effettuare un’irrigazione per caduta con sistema a goccia sia nella zona 2 del frutteto, che nella zona 1 dell’orto. Quest’ultimo contornava la casa con aiuole rialzate. Ortaggi amidacei come patate e mais crescevano in aiuole più lontane in quanto necessitavano meno attenzioni rispetto ad una pianta di insalata. Le zone più aride erano occupate da piante officinali. Eh si, perché in un’azienda autosufficiente o che tende ad esserlo, le erbe medicinali sono tanto importanti quanto frutta e verdura.
L’abitazione, costruita in bioedilizia, si prolungava verso l’esterno con una vetrata che fungeva da serra durante la stagione più fredda e da semenzaio il resto dell’anno.
Infine gli animali: a galline e oche era concesso gironzolare nella zona 2: il frutteto. Le capre invece, che Su chiamava amorevolmente “my girls” le sue ragazze, venivano portate durante il giorno dalla piccola stalla alla zona 3, adiacente alla proprietà e incolta. In pochi giorni infatti, le fanciulle erano in grado di rendere accessibili campi invasi da ramaglie impenetrabili. Erano dei piccoli decespugliatori su quattro zampe!
Infine le api, anello immancabile in un’azienda e molto più fortunate rispetto a quelle europee. In Australia, infatti, non è presente il tremendo acaro parassita Varroa (Varroa destructor), che sta mettendo a dura prova la salute e la capacità di resistenza delle api europee.
Le casette sorvegliavano la proprietà dal punto più elevato. Su, l’apicoltrice di casa Holgrem, mi raccontava che in una sola stagione e senza tanti problemi, riusciva a produrre parecchie decine di kg di miele da una sola casetta.
Anche mio papà mi raccontava le stesse cose…ma riferendosi agli anni ’70 in Italia!